Agostino Schettino ai nuovi Carracci di Bologna
- Alessandra Meldolesi
- 7 mar
- Tempo di lettura: 3 min

Al ristorante I Carracci del Grand Hotel Majestic da settembre è chef il campano Agostino Schettino, che si è fatto le ossa ai Quattro Passi e al fianco di Agostino Iacobucci. La sua è una cucina panitaliana che riverbera il sole del sud sul territorio, non senza qualche sprazzo di gioco.
Potrebbe essere un piccolo “Del Cambio”, il ristorante “I Carracci” presso il Grand Hotel Majestic, unico cinque stelle felsineo, se solo la proposta gastronomica si stabilizzasse verso l’alto. Invece gli chef continuano ad avvicendarsi sotto gli splendidi affreschi della scuola dei Carracci, ispirati al mito di Fetonte, per quanto la proposta dai tempi di Guglielmo Araldi (nel frattempo trasmigrato alla Porta in un bel giro di walzer) si sia orientata verso luminescenze e freschezze tutte mediterranee, come è ormai costume nei grandi alberghi.
Dallo scorso mese di settembre è la volta di Agostino Schettino, giovane chef originario di Castellammare di Stabia, che dopo le prime esperienze per cucine di battaglia e banchetti ad appena quattordici anni e un passaggio al President a Pompei, si è fatto le ossa ai Quattro Passi di Nerano, l’ultimo arrivato fra i nostri tre stelle, da Schöneck, ai Quattro Passi di Dubai e al Pietramare. Già secondo per tre anni di Agostino Iacobucci nel suo ristorante fuori città, è alla sua seconda prova da chef, in cui sembra mettere a frutto con personalità il bagaglio assemblato.
La cifra è quella della fusion panitaliana, nella scuola appunto di Iacobucci. “Lui è stato il suggello, ma io mi identifico tanto nel magistero di Antonio Mellino, che affonda nella tradizione della Costiera con prodotti esclusivamente locali e lavorati in casa, anche in modo elaborato, come nel caso del pesce. Mentre in Alto Adige ho appreso la marinatura delle carni e la lavorazione della selvaggina”.
Accanto alla carta, con cinque proposte per comparto, fra cui proteine nobili come l’astice cotto al barbecue con olandese alla vaniglia o la selvaggina Zivieri, più il carrello dei formaggi, i degustazione sono tre: La dotta, la grassa, la rossa passa in rassegna diligentemente i classici cittadini, dalla terrina di Mortadella con perlage di Balsamico alla petroniana, passando per tortellini alla crema di Parmigiano e lasagnetta classica (senza stravolgimenti ma con tocchi personali, vedi il gel al posto del brodo sulla cotoletta); Natura è dedicato invece al vegetale di stagione, quale stimolo per la creatività oltre il servizio alla clientela (vedi il dashi con rape e verdure primaverili, dove la rosa di daikon e rape rosse omaggia il papà Vincenzo, fioraio), mentre Ispirazioni dello chef è il carta bianca più personale, “fuori e dentro il territorio”. È disponibile in 6 o 9 portate al prezzo rispettivamente di 120 (come gli altri menu) o 165 euro.

Paradigmatico di questo stile è il velo di seppia con broccoli, mandarino e caviale asetra, piatto fresco e ben bilanciato nei gusti primari e nelle consistenze, ispirato all’insalata di mare e decisamente orientato verso sud, con il side di tentacolo sulla falsariga del lobster roll. Mentre “Il Mangiafagioli”, signature della casa ispirato al capolavoro di Annibale Carracci, risulta più comfort e sostanzioso, ma sottotraccia intesse il suo dialogo fra lo charme dei luoghi e la cucina campana, nello specifico la pasta e fagioli con le cozze. Si tratta infatti di tagliatelle callose alla farina e crema di borlotti con cozze e plancton, che spingono il pedale dell’umami sul mare.

Fra i dolci l’omaggio a Lucio Dalla “Caruso: latte in piedi bolognese? No, pastiera napoletana” opera una metamorfosi sotto il cucchiaino: il dolce tipico locale è infatti profumato all’acqua di fiori d’arancio e agghindato di grano soffiato croccante e gelato alla ricotta. Ben sintonizzata e sincronizzata la giovane sala, dove il sommelier Daniele Montuori, di origini pugliesi, ama mescere divertenti chicche emiliane in pairing da 3 o 5 calici.

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