Cucina Stellata: le ombre nel firmamento
- Alessandra Meldolesi
- 10 mar
- Tempo di lettura: 4 min
Stipendi non pagati, contratti inesistenti, telecamere in cucina e insulti di stampo razzista, al limite del mobbing: succede in un ristorante stellato, dove tutto sembrerebbe perfetto. Ecco la testimonianza in esclusiva.

Cucina Stellata: sorride il cameriere, mentre ci accompagna al tavolo e sposta felpatamente la sedia. L’ultima cena è stata perfetta, un attimo di felicità fra le magagne della vita. Ed ecco che i primi assaggi ci fanno ripiombare dentro un sogno: è qui che eravamo rimasti, in un’isola chiamata “sensazione perfetta”. Sono due ore che scorrono in fretta, come la clessidra della bottiglia di vino. E questa volta esce anche lui a salutare: lo chef, sommerso dagli applausi come un tenore sul palco dell’opera, alla fine della rappresentazione.
Quando funziona, l’alta cucina è questo. Ma cosa succede davvero dietro le quinte dello spettacolo? Si parla di molestie, droga a fiumi, stipendi non pagati. E capita pure che qualcuno ogni tanto, stremato dalle malversazioni, voglia svuotare il sacco. È il caso di Mario (nome di fantasia), chef di un ristorante stellato in un pittoresco borgo del centro Italia, nonché vecchia conoscenza dei gourmet, protagonista di articoli entusiastici. Ci telefona perché non ne può più di un lavoro scelto per passione, che sa di far bene, ma che gli sta rovinando la vita.
“Fin dall’inizio, considerati i postumi della pandemia, mi ero accordato con la proprietà per percepire, limitatamente al primo anno, una parte di stipendio in nero e il resto contrattualizzato, anche se il contratto non è mai stato firmato. C’è solo l’assunzione, tanto che il mutuo per comprare casa mi è stato rifiutato, perché la busta paga è stata giudicata farlocca. E non parliamo certo di una cifra astronomica, tutt’altro. Era una rata ridicola. Quello che non avrei mai immaginato, è che su questa base si sarebbe instaurato un costante clima di ricatto, nei miei confronti e verso i ragazzi. Ogni mese mi sono trovato a dover minacciare le dimissioni, perché nessuna parte della retribuzione arrivava puntuale. A maggio aspettavo ancora lo stipendio di dicembre e avendo annunciato la mia partenza, so già che perderò le quote in nero.
Per i ragazzi era pure peggio. Dopo un po’ partivano tutti, perché avevano il contratto part-time oppure di apprendistato. Niente di illegale, ma sicuramente non idoneo a un sous-chef. Magari col part-time percepivano 700 euro in busta, quindi partiva il ritornello: ‘Per ora sono questi, quando avremo più lavoro, ve ne darò di più. Se vi sta bene è così, altrimenti quella è la porta’. Verso i ragazzi del sud c’era un’evidente ghettizzazione, al limite del bullismo. In particolare volavano insulti all’indirizzo di pugliesi e salentini, che formano l’ossatura della brigata.
Ho dovuto subire persino la vergogna di essere contattato da fornitori, che non venivano pagati, e spesso ne ho dovuti trovare di nuovi, perché avevano smesso di inviare la merce e io comunque dovevo lavorare. Aggiungo che all’interno della cucina sono posizionate telecamere, che sarebbero vietate dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, salvo previo consenso. La proprietà dice che non funzionano, ma è falso, tanto che mi sono stati mostrati video dei presunti errori dei collaboratori.
Quando ho iniziato, ho ereditato un team che pian piano si è sbriciolato. Tutti ragazzi che sono usciti molto male, con minacce di vertenze di fronte alle quali la proprietà ha sempre cercato un compromesso, finendo per pagare anche di più. Io stesso in passato mi sono trovato in difficoltà, luoghi di lusso in cui facevamo oltre 300 ore di lavoro con il contratto agricolo o dove la proprietà è svanita nel nulla”.
Tutto questo accadeva lo scorso mese di agosto, poi la situazione, che sembrava essersi ricomposta, si è definitivamente lacerata. Cosicché lo chef mi ha ricontattata per raccontarne l’epilogo. “Le cose sono sensibilmente peggiorate da allora. A fine anno un ragazzo è stato allontanato perché ‘troppo terrone’ nel comportamento, nonostante fosse con noi da tre anni e possedesse capacità tecniche eccezionali. Purtroppo sono dovuto partire perché mio padre era ammalato di tumore e quando sono tornato il patron mi ha chiesto di dare le dimissioni, io gli ho risposto che il mio contratto era a tempo indeterminato e avrebbe dovuto licenziarmi. Abbiamo scoperto di avere ricevuto tre visite Michelin e di essere probabilmente in odore di seconda stella. A questo punto lui ha cambiato atteggiamento e mi ha chiesto scusa. Ma mi deve ancora 10mila euro. Ho cinque anni di buste paga fasulle, perché la base non è conforme al contratto e il livello è demansionato, prima da capopartita, poi da secondo chef. Ormai siamo per avvocati. Mi sono licenziato per le continue chiamate dei fornitori e per l’allontanamento di due collaboratori. In pratica in brigata c’erano due stagisti, due apprendisti e un part-time fasullo, con un terzo minimo dello stipendio in nero. I costi quindi non erano alti e io non volevo più sentirmi complice di questo modus operandi. Mi prenderò un periodo sabbatico per trovare la collocazione giusta in qualsiasi parte d’Italia”.
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