I trend del 2025 nella ristorazione: di necessità virtù
- Roger Sesto
- 6 mar
- Tempo di lettura: 4 min
Lo spirito d'adattamento è d'obbligo, in un 2025 che non brillerà per il potere d'acquisto della clientela. Cosa succederà nei ristoranti italiani nell'anno che verrà, tra tendenze prevedibili e conseguenze di trend precedenti

I trend del 2025: gli italiani non consumano più per molte ragioni: i ristoratori che vogliono sopravvivere devono trovare rapidamente soluzioni creative. Il consueto articolo sulle considerazioni per il nuovo anno non poteva arrivare in un momento più competitivo per l’Horeca, vi è solo una certezza: il 2025 non potrà che essere un anno di grandi cambiamenti. Proviamo a intercettare qualche trend, alcuni più futuribili e altri già in essere, per capire cosa ci aspetterà, tra previsioni e desideri personali.
Toast di qualità, a Milano andranno a competere con gli hamburger
Per esempio, se invece di usare pane in cassetta all’ammoniaca e salumi e formaggi plastificati, si impiegasse un buon pane, grandi prodotti, e bel po’ di burro, anche uno spuntino senza pretese come il toast potrebbe avere una sua dignità gastronomica. Non che prima di quest’anno non esistessero già toast di qualità ma, per diffondere veramente un’idea, serve un promoter, come l’oste piacentino Giacomo Pavesi, che, unendo le forze con Davide Longoni, panettiere milanese di assoluta eccellenza, capace di sfornare grandiosi shokupan (un pane a fette di grande qualità), ha “quadrato il cerchio”, riportando a casa la deriva nipponica partita con la diffusione dei katsu sando, e mutuando l’utilizzo proprio del pane al latte giapponese. Almeno a Milano il toast sembra essere destinato a diventare il nuovo hamburger; bisogna solo attendere per vedere gli sviluppi di questo percorso innovativo, se la cosa resterà intelligente e golosa o se porterà a distorsioni perverse.
Pizza & Cocktail, sempre più diversificata, il trend è di sposarla ai drink
In tempi non sospetti, fu Dry a Milano a lanciare il format pizza/cocktail. Una scelta molto ambiziosa e di successo, ma proposta prematuramente. Oggi, l’accoppiata pizza / bere miscelato, sembra aver preso piede, tanto da porsi come gradita alternativa al trito connubio pizza & birra, quantomeno nelle pizzerie più ambiziose. Tra locali di pizza che si dotano di banconi (e bartender) degni di un bar da albergo di lusso, e locali di cocktail che specializzano la loro offerta food con quella dei lievitati, ormai si può parlare di una tendenza ormai diffusa in Italia. Una pizza, o anche un percorso degustazione, con salse e guarnizioni che migliorano il gusto o l’aspetto dei vari piatti, ricercati quanto i piatti di uno stellato, accompagnati da grandi drink, dimostrano di poter essere un’esperienza di lusso, ma con un conto lontano da quelli del fine dining. Se una volta l’unica differenziazione era pizza al trancio, da asporto, e pizza tonda, oggi i tempi sembrano maturi: è arrivato il momento di riconoscere che nella pizza si stanno finalmente delineando degli stili regionali identitari!
Con il fine dining ormai solo per “ricchi”, sti stanno attualizzando vecchi trend
A proposito di sconvolgimenti nel mercato, l’offerta è ormai sempre più polarizzata, con il fine dining vero e proprio sempre più appannaggio dei soli abbienti. Con il potere d’acquisto dell’italiano medio sempre più in calo, la ristorazione è obbligata a correre ai ripari, per non perdere il pubblico degli appassionati che, pur rinunciando sempre di più agli stellati, cerca comunque qualità, sia nel piatto sia nel calice. C’è chi si concentra sul vegetale, chi rinuncia alle sovrastrutture e offre preparazioni semplici (e vini ovviamente “naturali”) al bancone, chi recupera piatti e stilemi casalinghi in un fiorire di nuove osterie ispirate alle nonne, chi alleggerisce l’offerta anche in un’ottica di maggiore sostenibilità umana del mestiere di ristoratore, chi esplora nuovi/vecchi luoghi di aggregazione come i mercati coperti. Se il format delle enoteche/bar con piccola cucina ad alcuni può già sembrare inflazionato, è solo la punta dell’iceberg del cambiamento di un mercato in cui ci sarà sempre meno spazio per emulazione e improvvisazione.
La carne: il declino dei menu pantagruelici, l’ascesa delle bisteccherie di qualità
L’improvvisa moda delle carni esotiche e ultra marezzate, ha creato diversi cortocircuiti nei consumatori carnivori, soprattutto nei maschi “alfa”, il cui motto è: “Sotto le quattro dita è carpaccio”, che ergono a paradigma la linea di cucina di Giorgione, patron di un locale “carnivoro”, sito a Montefalco. Dal ristoratore umbro si va per consumare a tutti costi bistecche da un kilo e tre etti, anche di carni con quantitativi di grasso intramuscolare ben oltre le nostre abitudini. Ma ormai, nelle nuove evolute bisteccherie specializzate, questo approccio ai piatti di carne si è rinnovato, con proposte meno patagrueliche, ma di qualità estrema, utilizzando molto la brace come strumento di cottura e con celle di frollatura in bella vista. Intendiamoci, non si discute la qualità delle proposte e non si intende giudicare il veganesimo, ma si cerca di inquadrare l’evoluzione delle preparazioni della carne dei nuovi locali. In ogni caso, nei prossimi mesi, ci sarà una certo declino dei locali che propongono piatti degni di Fred Fliston (noto protagonista della serie animata Gli Antenati); via via non si avvertirà più la mancanza di ristoranti in cui, dopo tartare, carpaccio o patanegra, si passa a una bistecca monster, con patate cotte nel grasso del Wagyu.
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