È crisi a Torino: chiude anche il Magorabin
- Alessandra Meldolesi
- 19 feb
- Tempo di lettura: 4 min
Matteo Baronetto, Christian Mandura, Marcello Trentini: è ormai un caso Torino, città più sismica d’Italia in quest’epoca di cataclismi gourmet. Che la crisi sia sua o del fine dining, la ristorazione non sarà più la stessa.

Una ventina d’anni fa gli esperti diagnosticavano due città refrattarie allo sviluppo del fine dining, ricche eppure affezionate a una ristorazione d’antan: Bologna e Torino. Negli anni quest’ultima sembrava aver spiccato il volo, mentre il capoluogo felsineo restava al palo con un’unica stella nel centro cittadino: se il suo storico protagonista Davide Scabin si spostava da Rivoli al Carignano, senza perdere temperatura creativa, le stelle si moltiplicavano, dal Cambio di Matteo Baronetto al Magorabin di Marcello Trentini, fino a condividere di Federico Zanasi e Unforgettable di Christian Mandura. Tanto che nell’ultima guida Michelin se ne contano undici.
Lo stillicidio è iniziato da Del Cambio, dove Matteo Baronetto ha lasciato la toque al suo secondo Diego Giglio. L’intenzione sarebbe quella di rimanere nell’orbita dello stesso patron, il facoltoso imprenditore Michele Denegri.
“Vorrei costruire qualcosa di diverso da un ristorante tradizionale”, ha dichiarato lo chef in un’intervista al Corriere della Sera. “La parola giusta penso sia ‘bottega’, perché trasmette l’umanità, l’idea dell’artigianato, delle relazioni. Un luogo dove fare ricerca nel senso profondo della parola; dove preparerò da mangiare, certo, ma in cui ridare valore alla parola ‘amicizia’: vorrei si incontrassero lì donne e uomini con professionalità diverse, ma uniti da una medesima sensibilità. E vorrei realizzare questo a Torino entro la fine dell’anno”. Staremo a vedere.
Poi è venuto il turno di Christian Mandura, talentuoso Achille Lauro del food, che ha annunciato l’addio ad Unforgettable, originale ristorante da dieci coperti al bancone, per una nuova avventura incentrata sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Un progetto ambizioso in partnership con la società di servizi digitali Reply, cui lavora già da anni, che tuttavia almeno al momento non assumerebbe la forma di un ristorante.
“L’idea di base sulla quale stiamo lavorando è un sofisticato software di intelligenza artificiale basato su reti neurali profonde e apprendimento automatico. Utilizzando algoritmi, analisi predittive e modelli di conoscenza, il software guida la creatività e la progettazione delle tecniche culinarie”.
Ci sarà sì una sala da dieci coperti per sperimentare, ma a sedervi non saranno i soliti gourmet. E nelle intenzioni sarà avanguardia pura. Anche qui, da vedere.
Ma non è finita, perché proprio in questi giorni è arrivata la notizia che il Magorabin di Marcello Trentini, stella ormai storica sotto la Mole, non riaprirà. E lo chef non ha avuto il contegno sabaudo di Baronetto, ha anzi lanciato il suo j’accuse alla Lo Basso, sostenendo che la ristorazione fine dining non sarebbe più sostenibile.
Da tempo attivo su format più informali come Casamago, cocktail bar con ristorazione veloce ma azzeccata, Trentini ha spiegato di aver maturato negli anni un desiderio di cambiamento.
“Cari amici reali e virtuali, con il 22esimo compleanno del nostro amato Magorabin, sono ad annunciarvi la chiusura definitiva del ristorante”, ha spiegato sui social. “Prima che haters e tifosi si scatenino, uso questo canale per raccontarvi la mia versione. Al netto delle illazioni e delle presunte certezze che alcuni vogliono leggere come verità, le ragioni della mia decisione hanno radici profonde. Sicuramente l’uscita dalla brigata di un sous chef non è tra quelle. Che la ristorazione definita fine dining, per come è stata concepita nell’era contemporanea, non sia più sostenibile (se si escludono alcune eccezioni) lo sanno ormai anche i sassi e mi sembra superfluo ribadire che senza catering, consulenze, branding etc. nessuno può stare felice. Ma noi abbiamo inseguito il solito vecchio sogno di fare bene, anche da indipendenti.
Purtroppo non funziona così… e chi dice il contrario mente, sapendo di farlo. Chi mi conosce bene sa che, col passare del tempo, mi sono gradualmente innamorato di un tipo di ristorante più smart che io definisco funky. Locali laici dove musica, belle vibe, vino e cibo divertente lasciano spazio alla libertà di interpretazione della serata. Starò lontano mille miglia dalle polemiche sul presunto stato di salute del mondo gourmet, un cancan che non appartiene a chi, come me, ha un’anima punk rock e quindi ognuno faccia quello che vuole. La stella Michelin l’ho desiderata, fortemente voluta, conquistata e portata tatuata sulla pelle con grande piacere per ben 13 anni.
È stato un riconoscimento al nostro amore per la filosofia dell’accoglienza e di sicuro non la rinnegheremo. Da alcuni anni a questa parte, però, ho deciso che il mio tempo, gli affetti, la qualità della vita sarebbero diventati una priorità e le regole non scritte della ristorazione gastronomica non mi appartenevano più. Tutto qui… nulla più. Chi si sentisse orfano della mia cucina potrà ritrovare i miei piatti surf’n’turf a Casamago, il bistrot nato 6 anni fa sulle ceneri del vecchio mago dove tutto ebbe inizio. Ho tagliato i dread, la barba è un po’ più bianca, ho tolto la giacca da chef e l’ho sostituita con maglietta e grembiule, ma non ho mai smesso di cucinare con cuore e pancia. Rock’n’roll ”.
Di fatto la sua stella è definitivamente persa, mentre le altre potrebbero salvarsi e pure raddoppiare. Resta da capire che sia successo di preciso a Torino. Gli esperti parlano di una città dal bacino di clientela angusto, stagionato e poco incline alla sperimentazione, nonché carente di turismo altospendente, dove il mercato consentirebbe di prosperare a una manciata di stelle e niente più. La primavera torinese sembra già finita alla prima gelata.
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